Eo film, Regia di Jerzy Skolimowski con Sandra Drzymalska, Mateusz Kosciukiewicz, Tomasz Organek, Isabelle Huppert.  Drammatico – Polonia, Italia, 2022 

Storia di Eo 

Eo è il nome del film, protagonista un asino il cui verso caratteristico offre il titolo onomatopeico: E-O. EEE-OOO, un grido di dolore, di rabbia, di reazione alla violenza del mondo, e alla sua inattesa bellezza.

Eo (“ih-oh”) ha lavorato con l’acrobata Kasandra in un circo polacco, con la ragazza, ha istaurato un rapporto speciale, una comunicazione intima, che passa attraverso le carezze, il tono della voce, una vicinanza di corpo e spirito. Ma il circo una volta smantellato, perché piegato dai debiti; i due vengono separati.

Eo inizia un viaggio che lo porta in paesi e contesti diversi, fino in Italia, sempre secondo ai cavalli, belli e capricciosi, caricato di pesi, per lo più ignorato, a volte pestato, per cieca furia umana.

Jerzy Skolimowski si mette nella testa dell’asino, animale intelligente e sensibile, costretto allo spettacolo dell’umana violenza e dell’umana insensatezza, e ne visualizza i pensieri, i ricordi, i desideri.

Il film si identifica con l’atto stesso della visione

Il risultato è un film che potrebbe essere quasi senza autore, identificarsi con il cinema stesso, con l’atto della visione, che è sempre soggettiva, dettata dalle emozioni. Lo sguardo che il regista attribuisce all’animale è capace di elevarsi sopra le foreste, d’immaginare il corso di un torrente, di materializzare la pericolosità crescente del nostro mondo, privo di empatia e riguardo nei suoi confronti.

Eo è un progetto tenuto a lungo nella mente del regista polacco fin da ragazzo, colpito dalla visione di Au hasard Balthazar di Bresson, cui questo film rende omaggio, proponendo una rilettura delle relazioni sociali nel mondo moderno, con una visione pessimista dell’uomo.

Scritto in Sicilia, con la complicità di Ewa Piakowska, durante l’isolamento dovuto alla pandemia di Covid19, il film riflette su cosa significhi, in termini cinematografici vedere il mondo in maniera diversa, la riflessione coinvolge anche l’aspetto sonoro, traducendosi, in una musica tarata sull’espressione emotiva anziché su una sonorità compiacente l’orecchio umano.

E’ un film interessante con momenti fortemente ambiziosi, in altri il regista si lascia sedurre dalla stravaganza, talvolta con ironia, talaltra con un certo sentimentalismo sulla perdita del legame tra uomo e natura.

Eo in tutte le versioni della malvagità umana

 Il racconto si sviluppa a partire dalla libertà relativa dell’asino, che perde ogni riferimento, qualsiasi affetto umano, per collezionare disavventure, alle prese con ogni versione di malvagità umana. Tutti coloro che incontrano l’asino, avranno reazioni diverse, la più semplice è sfruttarlo per il lavoro, fino alla violenza brutale, che alcuni gli infliggono. Dunque, il vecchio regista, si pone nello sguardo dell’asinello, e con una visione soggettiva, ci porta alla scoperta di una bestiale umanità, tranne rare eccezioni. Tra quelle buone: alcuni lo “ingaggiano” per fare da animatore ai bambini down portandoli in groppa a fare un giro.

Altre vicende sfiorano la tragedia quando un gruppo di barbari tifosi di una squadra di calcio polacca lo scambiano per la mascotte della squadra avversaria, e quindi lo catturano per pestarlo a sangue fino alla morte. Ma il povero asinello non muore perché è più forte, e poi viene curato, preso in un ospedale veterinario e la sua storia continua a rappresentare una umanità controversa dove gli uomini sono buoni o cattivi verso gli animali, verso la natura, e in fondo contro sé stessi, in contraddizione con la natura, l’ambiente e il sistema ecologico già compromesso.

Nel film si avverte una simbiosi tra animale e uomo e dunque si comprende il motivo finale del film, realizzato dal vecchio regista forse come ultimo messaggio al mondo, affinché si rispettino animali e natura.

Il geniale ottuagenario  Skolimokski si avvicina al termine della sua avventura terrena e, come tutti i vecchi prossimi alla morte, sperimenta una visione panoramica dell’esistenza. E’ il momento di tirare le somme e di riflettere su cosa si è stati e a contatto di chi si è stati.

Il regista si fa prestare gli occhi dal tenero asinello 

 Skolimokski ci descrive il mondo per quello che è, con le sue infinite sfaccettature, a volte, ma non sempre, dolci, tenere, rassicuranti e gradevoli, più spesso crudeli e maligne. Eo nel corso del suo casuale peregrinare incontra esseri umani così diversi fra di loro da far pensare che appartengano a specie diverse. Il male predomina sul bene in questo caleidoscopio di esseri che sembrano voler trasformare la terra in un posto orrendo. Ci sono tenere e dolci fanciulle, animalisti isterici, teppisti barbari e primitivi, intellettuali raffinati, assassini senza scrupoli, mostri sadici e creature angeliche. Se Eo potesse parlare direbbe del genere umano che sono un’accozzaglia di esseri assurdi ed imprevedibili.

il regista usa la macchina da presa come un giovane sperimentatore del mezzo e ne sfrutta appieno le potenzialità creative più estreme. Ne risulta un vortice visivo che rapisce ed affascina, a tratti può anche stordire ed estenuare. Un film che tutti dovrebbero vedere ma non facile da comprendere, eppure a ragione multipremiato.

 Il film, prodotto dal grande Jeremy Thomas (tra i massimi e più originali produttori di sempre) e scritto da Skolimowski con Ewa Piaskowska, moglie del regista e al terzo lavoro col marito, non ha una vera e proprio trama, piuttosto una traccia, un canovaccio, che segue l’itinerario dell’animale e osserva gli eventi e le persone con cui entra in relazione, tra indifferenza, possesso, sfruttamento, amore.

L’asino, guarda, osserva, vive e patisce

A contare in EO sono soprattutto le immagini, realizzate da Skolimowski con il direttore della fotografia Michal Dymek: un insieme libero e sperimentale di invenzioni e colori accesi; effetti sbalorditivi, ma anche estremi e coraggiosi, tra luci al neon e movimenti a 360° della macchina da presa

Trait d’union delle varie vicende è  l’asino, che diventa con la sua impassibile dolcezza e il suo istinto di sopravvivenza il simbolo e al tempo stesso la vittima inconsapevole di un’esistenza senza direzione, o senso d’appartenenza .

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