Il corpo come maschera nell’adolescenza è un corpo in via di ri-definizione, non è più il corpo del bambino, ma il corpo dentro il quale si gioca un conflitto psichico importante: la separazione del bambino dalla madre.
Il corpo ancora pubere della prima adolescenza è in via di trasformazioni, non solo fisiologiche e ormonali, ma spesso anche violente e aggressive, talvolta autoindotte.
Spesso si presentano sotto forma di vere e proprie mortificazioni del corpo, basta pensare ai piercing, ai tatuaggi, ai capelli a rasta, i capelli ritti e le colorazioni folli.
Il corpo come maschera nell’adolescenza appare un corpo violento/aggressivo, talaltra violentato e mutilato dall’adolescente trasformandosi nel “teatro” del corpo, che lo rappresenta in lotta con le proprie fantasie di morte, dibattendosi nelle spinte pulsionali di un corpo con il quale non si è ancora familiarizzato, nel tentativo di dare significato al proprio mondo intero.

Il corpo come maschera nell’adolescente a rischio di agiti

Ladolescenza è continuamente a rischio di agiti inconsci, la ricerca di una sessualità a tutti i costi, il farsi male fisicamente, l’esser soggetto a cadute, ai taglieggiamenti, la ricerca inconscia di una gravidanza, come conferma della propria fertiltà/identità, sia da parte delle femmine, che da parte dei maschi, gli incidenti stradali, sempre più frequenti sulle strade del sabato sera, fino ad arrivare ai veri e propri tentativi di suicidio.
L’agito costituisce, una messa in scena, che ha una funzione strutturante. L’attore di questa rappresentazione è il corpo che, se da un lato è mandato allo sbaraglio, dall’altro sembra avere la funzione di incarnare e mantenere vivo il mondo interno. Di fronte al carico di angoscia, paura, confusione e colpa che il mondo fantasmatico ingenera, l’atto, fornisce un’evidenza percettiva la cui ripetizione, è una sperimentazione dei limiti, dell’irriversibilità, e rappresenta l’incontro con l’altro, ma anche con sé stesso, diventando agito, linguaggio e comunicazione.
 
L’irreversibilità dell’atto, a differenza del gioco di fantasia del bambino è funzionale al bisogno dell’adolescente di uscire dall’indefinitezza, di darsi spessore, visibilità; lo obbliga a definirsi e nel contempo interroga l’ambiente esterno al ragazzo, costringendolo a porsi come interlocutore.

Il corpo nell’adolescente oscilla fra dipendenza e autonomia.

Il suo desiderio di vicinanza intima con la madre, viene vissuto come un fondersi regressivo, come un rischio di perdere dentro la mamma la sua esistenza di individuo, separato e minacciato dal bisogno di madre che sente risvegliarsi in lui, attraverso la pulsione sessuale incestuale.
Il corpo come maschera nell’adolescenza, diventa bersaglio e ricettacolo di tutti gli affetti: dall’odio, all’aggressività, all’invidia.
La violenza ha la funzione di liberare l’adolescente dalle tensioni interne che minacciano di straripare e ogni atto di violenza, rinforza i confini tra Sé e il genitore. Quando l’adolescente colpisce qualcuno con le percosse, lo tocca, e si differenzia dall’altro, opponendosi. Una percossa crea contatto mentre, simultaneamente nega il bisogno di contatto. Siccome il corpo rappresenta la relazione, egli oscillerà tra l’aggressione rivolta all’esterno e l’aggressione rivolta al proprio corpo; anche questo è un modo di separarsi.
Le pratiche, diffuse tra gli adolescenti, del piercing o del tatuaggio, rappresentano una maniera di marcare il proprio territorio, di rivendicare una proprietà esclusiva. Queste pratiche ricordano anche la marchiatura e l’addomesticamento degli animali selvaggi: è il corpo pulsionale che ha bisogno di essere risignificato attraverso un nuovo rito come segno di emancipazione e di appartenenza.
Il piercing, può assumere caratteristiche transizionali: esso è un oggetto che non muta in un corpo in trasformazione,  qualcosa che, restando uguale, può arginare la paura di cambiare, fino a non riconoscersi più; con esso si può anche giocare. Al contrario, può costituire un oggetto feticcio che sostituisce l’oggetto d’amore, la madre o chi per lei e la cui funzione è quella di negare la separazione.
La soluzione cui si ricorre per poter sopravvivere potrebbe allora essere quella di attaccarsi ad oggetti morti, nell’illusione di poterli controllare, nella speranza di allontanarsi dagli oggetti d’amore vivi.
Il corpo come maschera é mediata da mode e modelli. La ricerca di un’identità  avviene attraverso imitazioni primitive e adesive. L’abbigliamento ad esempio, è una sorta di seconda pelle che filtra e media sia gli stimoli provenienti dal mondo esterno, che da quello interno. Cambiare continuamente abbigliamento è  mettersi nei panni di un altro, provare i diversi aspetti di un modello per adattarseli.
Gli adolescenti si presentano vestiti in modo stravagante, sono note le mode dark: trucco pesante, decisamente macabro, oppure vestiti alla maniera dei punkabbestia, i capelli coloratissimi, spesso, blu o viola, o un rosso acceso, con un chiodo infilato nel lobo dell’orecchio e un piercing sulla lingua, pieni di borchie, o molto colorati, con sciarpe, braccialetti, cappelli, come se sorvegliassero la reazione che inducono negli altri .
Può accadere che l’adolescente si imprigioni all’interno di un’immagine rigida, di un’imitazione che è incorporazione degli attributi di una certa persona o gruppo.
Ci si riconosce, si viene riconosciuti, non in quanto individui separati, ma in quanto membri di un clan che condividendo un comune feticcio, sentono di  appartenere alla razza degli dei.
Anche le sensazioni indotte nell’altro che guarda e quelle percepite al proprio interno danno all’adolescente un senso di consistenza, compattano l’immagine di sé, spesso avvertita come frammentata.

Il corpo come maschera, copre il vuoto d’identità

L’investimento sull’immagine del corpo come maschera, copre il vuoto d’identità, riempito dal corpo, che si nutre dello stupore e dell’ammirazione riscontrabili nello sguardo dell’altro, c’è una sorta d’ investimento sull’immagine che il corpo suscita negli altri. L’adolescente sembra debba nutrirsi dello stupore e dell’ammirazione riscontrati nello sguardo dell’altro, per sentirsi rispecchiato e non sentirsi solo.
Il corpo come maschera nell’adolescenza, diventa allora una sorta di area transazionale, un passaggio tra due condizioni, due modi di vita, due situazioni, nelle quali si possa elaborare una separazione nei confronti dei genitori.
Il corpo, caricarlo d’importanza, vestirlo in modi tanto diversi, significa usarlo per negoziare il conflitto tra il desiderio di separazione e quello di appartenenza, nel tentativo di trovare una giusta distanza tra le esigenze più evolutive e quelle più regressive, per gettare un ponte verso nuovi rapporti che non facciano sentire la mancanza di quelli precedenti.
Questo modo di vestire, i singoli oggetti, a cui dedicano tanta attenzione e cura, sono come una seconda pelle posticcia che ripara dal mondo interno, come da quello esterno e permettono di relazionarsi con gli altri attraverso un’identità imitativa: indossare quei vestiti è come possedere le loro caratteristiche, significa essere anticonformisti, non avere nulla da spartire con il mondo borghese dei genitori, è essere contro un’etica giudica falsa.
Vestiti così si sentono riconosciuti e nascosti, al tempo stesso. Il corpo usato come una maschera che da un lato identifica, dall’altro nasconde e ripara da un rapporto che si teme possa deludere, invadere, ma di cui si può sentire la mancanza.
L’immagine deformata, esibita dall’adolescente, è al contempo sfida e aggressione, ma anche desiderio di essere visto: cattura lo sguardo, lo sequestra, costringe a guardare.
Ma è un inganno: la relazione con l’adulto si gioca su un terreno  falso, perché la vera posta in gioco è la crescita. L’adolescente mentre mostra il corpo, per negarlo o per enfatizzarlo, mentre litiga su un falso obiettivo, in realtà nega l’ansia e la paura di non farcela.

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