La sottile linea rossa (The Thin Red Line) è un film del 1998 scritto e diretto da Terrence Malick, con Sean Penn, Jim Caviezel, Nick Nolte, Elias Koteas, Ben Chaplin, Adrien Brody. Il film ha ottenuto 7 candidature a Premi Oscar, premiato al Festival di Berlino.
Il film tratto dall’omonimo romanzo di James Jones 1962, già filmato nel 1964, vero reduce della guerra nel Pacifico, ambientata durante la campagna americana a Guadalcanal tra il 1942 e il 1943, e che ha per protagonista la Compagnia C dei fucilieri dell’esercito.
Novembre del 1942, dopo un idillico intermezzo fra i nativi della Melanesia, il soldato Witt e un commilitone sono riaggregati alla compagnia di fucilieri Charlie, impegnata nella conquista di un campo d’aviazione giapponese posto in cima a una collina dell‘isola di Guadalcanal, la maggiore delle isole Salomone (Oceania). Il gruppo di militari è guidato dal mite capitano Staros, agli ordini dell’ambizioso colonnello Tall.
La sottile linea rossa un grande tragico affresco
E’ la battaglia più difficile e cruenta della guerra nel Pacifico, sia per la natura del terreno, che per l’importanza strategica attribuita a quella piccola isola. I soldati avanzano filo d’erba dopo filo d’erba, affrontano situazioni disperate, muoiono. Battaglia cruenta, sia per la natura del terreno, che per l’importanza strategica attribuita a quella piccola isola
Per non cadere nella stesura di un normale film di guerra alla “Soldato Ryan”, Malick fa sentire il pensiero dei soldati in una voce fuori onda: pensieri astratti sul bene e sul male, sull’amore, sul destino, sono narrati attraverso le voci interiori dei protagonisti, tutto questo in mezzo al fuoco delle battaglie.
Il film inizia con l’immagine simbolica di un aligatore che s’immerge nella palude, poi appare il protagonista Witt (Jim Cavieziel) disertore, rifugiato nel villaggio indigeno, nella tranquillità e purezza della natura, nella calma delle onde, nei sorrisi dei bambini che gli portano le conchiglie, gesti di una popolazione pacifica e buona. Witt vaga in questo paradiso perduto tra uomini donne e bambini, angeli del futuro, resi liberi dalla non-consapevolezza. Poi una nave da guerra sullo sfondo, altri uomini arrivano nella giungla portando il gelo delle armi.
La macchina da presa indugia sulla serenità degli indigeni, per il consueto mito del buon selvaggio, quello di Malick è un cinema lucido e realistico alla ricerca dello spirito, non della materia (per quanto la meravigliosa fotografia di John Toll esalta sia l’incanto dei paesaggi che l’odore della carne bruciata), poiché la sofferenza peggiore, in guerra, appartiene all’anima.
La sottile linea rossa aspira al misticismo e rapporta Terra e Cielo
il modo in cui Malick lo ottiene è magistrale, conoscendo molto bene le situazioni, gli archetipi, gli stereotipi dell’epica bellica e le cadenze omeriche con le quali descrive atmosfere e gesta. Intorno a queste atmosfere si impongono allo sguardo i cieli infiniti, le piante, l’acqua, gli animali, la luce e gli spazi, inquadrati con la purezza estatica del cinema muto. Mentre iI conflitto tra i giapponesi e gli americani introietta l’eterna contrapposizione tra cultura e natura, i dubbi filosofici ed esistenziali.
Raro, se non unico, film sulla guerra in cui per i primi 40′ non si ode uno sparo e non esistono protagonisti, ma alcuni personaggi un po’ più importanti, che hanno un senso soltanto nel contesto corale: il cap. Staros (Koteas), il ten. col. Toll (Nolte), il serg. Welsh (Penn), il soldato Bell (Chaplin). Lo stesso Witt (Caviezel).
Malick, dopo una lunga pausa, di 20 anni ha scelto la guerra come la porta attraverso la quale passare per dire qualcosa di radicale sull’estensione dello spettro morale di cui è capace l’uomo e porre alcune domande: perché la guerra? Che posto ha l’uomo sulla Terra? Che cosa lo spinge alla violenza, a perdere il senso della natura, della pietà, della bellezza?
Questo film panteista è una invocazione d’aiuto un poema triste, soffocato e malinconico sulle cose della natura e sulla natura delle cose. La musica è di Hans Zimmer. La magia della regia, della fotografia, e delle immagini sono accompagnate dalle poesie appena sussurrate, quasi con fatica dai soldati.
Il titolo si riferisce a un verso di Rudyard Kipling dal suo poema “Tommy”, tratto dalla collezione Barrack-Room Ballads, nel quale Kipling descrive i soldati come “una sottile linea rossa di eroi”. Il poema di Kipling è a sua volta basato sull’azione dei soldati britannici nel 1854 durante la guerra di Crimea, chiamata “The Thin Red Line”, nella battaglia di Balaklava.
Durante il lungo e sanguinoso assalto si consumano le vicende e tormenti interiori di un gruppo di uomini costretti a confrontarsi con i propri doveri e soprattutto con la follia della guerra, mentre tutt’intorno la natura, lussureggiante e indifferente, sembra cullarli e contrapporsi alla loro logica. Il soldato Edward Train così descrive nel pensiero tutti i suoi interrogativi su questa follia:
«Chi ci sta uccidendo, derubandoci della vita e della luce, beffandoci con la visione di quello che avremmo potuto conoscere? La nostra rovina è di beneficio alla terra, aiuta l’erba a crescere, il sole a splendere?»
Il film è una sinfonia sull’orrore della guerra e sull’estasi arcaica della natura
Un labirinto di fili d’erba, di pensieri fluttuanti, di pallottole, di sangue, di parole, di sudore, e di paura. Ci sono gli ordini secchi e perentori, la cima da conquistare, i colpi di cannone, le granate, le mutilazioni, le ferite, lo scontro con i nemici, il fuoco e il fumo delle armi.
Nell’opera tra le varie vicende il regista si sofferma su tre in particolare: quella del soldato Witt (Jim Caviezel), che prima diserta e si rifugia fra gli indigeni melanesiani, per poi far ritorno alla compagnia e sacrificarsi per i propri compagni, instillando più di un dubbio nel cinico sergente Welsh (Sean Penn), suo diretto superiore; quella del soldato Bell (Ben Chaplin), che non sopporta la forzata lontananza dalla moglie dalla quale alla fine verrà lasciato tramite una lettera che gli annuncia il divorzio; infine lo scontro fra il colonnello Tall (Nick Nolte) e il capitano Staros (Elias Koteas), che rifiuta di mandare i suoi uomini in una missione suicida e che per questo verrà sollevato dall’incarico e sostituito dal tenente Band (Paul Gleeson).
Il film ha un ricchissimo cast di star che hanno accettato anche ruoli secondari e minori pur di apparirvi. Alla notizia del progetto ad Hollywood centinaia di attori si proposero per una parte nella pellicola, alcuni anche dichiarando di recitare gratis, pur di entrare nella grandiosa produzione di Malick, piena di stelle, con ruoli maggiori e minori, semplici comparse o addirittura tagliate in post produzione.
Il film, svuotato di qualsiasi cadenza epica, mostra gli uomini nella loro sofferenza, nella nudità dell’anima, di fronte alla morte, alle proprie debolezze, consolati dai ricordi dell’amore perduto. Quando può, alza lo sguardo per cercare porzioni di cielo e trova l’immanenza di Dio in una natura immutabile che, con la sua bellezza, fa da contraltare all’orrore delle carni dilaniate dalle bombe, alla violenza della folle guerra.
La Guadalcanal di Malick è un Eden stuprato
Su questa collina, l’uso dei monologhi interiori permette di porre in primo piano il sentire dell’essere umano in battaglia: il protagonista (James Caviezel) ha gli occhi di chi ha visto la “luce”, si aggira fra i compagni come un messia di pace; Elias Koteas rappresenta l’uomo pietoso e coscienzioso; Sean Penn il cinico da salvare; Nick Nolte la fame di potere che si nutre di distruzione mentre sentenzia: “È la Natura ad essere crudele”.
Le voci fuori campo, tecnica narrativa che il regista riprende dai suoi due unici film precedenti, La rabbia giovane (1973) e I giorni del cielo (1978), diventano un coro frastagliato di voci interiori; una gamma di emozioni e conoscenze, di saggezze e di convinzioni e la macchina da presa scivola lenta, rispettosa, pacificata sulle facce e sui pensieri dei soldati.
La sottile linea rossa non è un semplice film di guerra, è un’opera unica, troviamo riferimenti alla vita, al male, viene citato Heidegger di cui lo stesso Malick è studioso. E’ un film di anti-guerra, filosofico, puro, che critica gli orrori della guerra e la malignità dell’uomo, portando i soldati ad avere tormenti interiori e paure ad affrontare il conflitto. Lo spettatore assiste a due guerre una reale e una interiore, molti soldati muoiono, ma per chi resta la pace è persa per sempre!